Augusta National, campo di miti e gloria, ma anche teatro di sconfitte brucianti e inaspettate. Incredulità, sgomento, sconcerto.
È il 10 aprile 2011 e Rory McIlroy, in testa fin dalla prima tornata, si presenta sul primo tee del quarto giro forte di quattro colpi di vantaggio. Non è giornata: erratico con il drive, approssimativo con i ferri, incerto nel putting…
A metà giro, il definitivo crollo col drive della 10, a 60 metri dal fairway a sinistra. Un pasticcio e il 7 conclusivo con il quale inizia la china discendente verso un pesante 43 sulle seconde nove.
Alla 18 firmerà un tragico 80 finale che lo farà precipitare in 15° posizione. Il suo giro di 8 sopra il par eguaglia il triste record di Ken Venturi nel 1956 e di Sam Snead nel 1951, per il più alto giro da leader nella storia del torneo. «Mettiamola in questo modo: è stata una giornata che mi è servita per la formazione del carattere», commentò a caldo il nordirlandese, mentre camminava fuori green della 18. «Questa è stata la mia prima esperienza come leader. Spero, la prossima volta che mi troverò in questa posizione, di essere in grado di gestire un po’ meglio la situazione».
Sembravano parole di circostanza. Invece Rory ha saputo superare quella debacle. E vendetta fu: tre mesi dopo dopo la disastrosa conclusione di Augusta, McIlroy mette a tacere pettegolezzi e malelingue conquistando di prepotenza (4 giri sotto il par) lo US Open. Il nordirlandese vince il suo primo Major e bussa alla Top 4 del Ranking.
Non è tutto: anche se la scoppola di Augusta 2011 sembrava vendicata, il castorino nordirlandese – zitto zitto – nel 2012 rosicchia un altro Major: a Kiawah Island, tra le raffiche dell’Atlantico, si aggiudica il PGA Championship, con un perentorio -8. Titolo che bisserà nel 2014, subito dopo aver vinto anche l’Open Championship.