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Popillia Japonica è un coleottero di recente introduzione nel nostro Paese.

Originario dell’Estremo Oriente, è stato individuato anche in Cina, Russia, Portogallo (isole Azzorre nel 1970), Canada e Stati Uniti, dove è stato osservato per la prima volta nel 1916 nel New Jersey e ad oggi è diffuso in tutti gli stati del centro e della costa orientale (alcuni focolai sono stati anche osservati in California e Oregon, dove è stato attuato un massiccio intervento di eradicazione). ln Italia è stato osservato per la prima volta nel 2014 nel comune di Turbigo nel parco del Ticino, tra il Piemonte e la Lombardia. Nel 2017 è stato anche individuato in Svizzera.

L’insetto è considerato da quarantena (deve esserne bloccata l’introduzione e la diffusione in Europa) in quanto particolarmente pericoloso per i danni che può provocare all’agricoltura e all’ambiente. Per questo il Ministero delle Politiche Agricole ha emanato nel luglio 2017 (rivisto nel gennaio 2018) un decreto per definire ed attuare le misure d’emergenza idonee per impedirne la diffusione.

La Commissione Europea nell’ottobre 2019 ha inserito Popillia japonica tra i 20 organismi nocivi prioritari, che richiedono una particolare attenzione da parte degli Stati Membri per ridurne i rischi. Ancora prima del decreto ministeriale, i Servizi Fitosanitari di Piemonte e Lombardia avevano già attuato un piano di contenimento, sistemando trappole per la cattura massale degli adulti e impiegando prodotti biologici su una parte dei prati presenti nella zona interessata.

Comunque, l’area interessata si sta rapidamente ampliando: in Piemonte, ad esempio dai 7 Comuni interessati nel 2015 si è passati a 23 nel 2016 arrivando a 190 nel 2019 inseriti nell’area direttamente infestata delle province di Alessandria, Biella, Novara, Verbano-Cusio-Ossola e Vercelli e 189 nella zona cuscinetto perimetrale nella quale sono interessati anche comuni delle province di Torino e Asti. In Lombardia sono interessati 388 comuni nell’area infestata (province di Como, Milano, Monza e Brianza, Pavia e Varese) e 220 nella zona cuscinetto (in cui sono inserite anche le province di Lecco e Lodi).

Oltre ai danni diretti su tappeto erboso, con seri problemi già osservati su campi da calcio e da golf, i problemi maggiori si sono osservati nei vivai di piante ornamentali e di zolle, per i quali devono essere adottate tutta una serie di procedure per la commercializzazione del materiale prodotto che tendono a limitare la diffusione del parassita al di fuori dell’area interessata.

L’insetto compie una generazione all’anno. Gli adulti, che sfarfallano all’inizio di giugno, sono di poco più grandi di 1 cm e sono simili ad altri coleotteri comuni nei nostri ambienti come Phyllopertha o Amphimallon, ma si distinguono facilmente per la presenza di 5 chiazze di peli bianchi ai lati dell’addome.

L’adulto ha una vita gregaria ed è molto vorace, cibandosi di fiori e frutti di oltre 300 specie diverse tra le quali mais, soia, pomodoro, rosa, tiglio, betulla, nocciolo, vite, pesco…

Dopo essersi cibate per un paio di giorni, le femmine verso sera scavano nel terreno e depongono le uova ad una profondità di 5-10 cm per poi tornare sulla pianta; nel complesso alla fine della stagione depongono da 40 a 60 uova. Le larve, di color crema con capo rossastro (si distinguono dagli altri scarabeidi per la disposizione delle setole anali), restano nel terreno nutrendosi di radici e sostanza organica; sverna generalmente la larva di terza età ad una profondità di 10-20 cm.

Le larve tornano verso la superficie con temperature di circa 15° C (indicativamente in aprile). Così come gli adulti, anche le larve sono molto voraci, causando la morte del tappeto erboso che si presenta spugnoso e poco ancorato al terreno. Predilige terreni umidi, soprattutto nei primi stadi larvali.

ln Italia i sistemi di lotta adottabili sono pochi e non molto efficaci. Per quanto riguarda la lotta biologica buoni risultati sono stati ottenuti con il nematode Heterorhabditis bacteriophora, che agisce sulle larve, in particolare di seconda età, che però è di difficile applicazione per ragioni di costo e di conservazione. Prove condotte in pieno campo hanno permesso di ridurre la presenza di larve del 46% rispetto al testimone non trattato.

È disponibile sul mercato Metarhizium anisopiliae, un fungo entomopatogeno che agisce sempre sullo stadio larvale, penetrando attraverso la cuticola e producendo tossine che paralizzano l’insetto; il prodotto è autorizzato dal ministero della Salute anche su tappeti erbosi e deve essere incorporato al terreno ad una profondità di 5-10 cm. Sono allo studio e già utilizzati negli USA e in Canada prodotti a base di un nuovo ceppo di Bacillus thuringiensis (B.t. galleriae), che sembrano avere un’ottima efficacia.

Per quanto riguarda la lotta chimica, i prodotti autorizzati al momento in Italia sono poco efficaci e sono impiegabili solo per il contenimento degli adulti senza alcun formulato ad azione larvicida: sono piretroidi (in particolare deltametrina) che forniscono risultati molto limitati per la scarsa persistenza, la mobilità dell’insetto e la sua vita gregaria. Inoltre, occorre ricordare come questi prodotti non siano autorizzati al momento in aree frequentate da popolazione ai sensi del PAN, ma solo in vivai di produttori di zolle.

È in fase di valutazione la richiesta di uso eccezionale sui tappeti erbosi del chlorantraniliprole, che ha dato ottimi risultati con un unico trattamento su larve giovani; il prodotto è già stato autorizzato nel Regno Unito.

Senza mezzi di lotta chimica, l’eradicazione di un parassita cosi aggressivo e pericoloso è estremamente difficile anche con gli sforzi messi in atto dai Servizi Fitosanitari (nel 2019 sono state sistemate oltre 2600 trappole per la cattura degli adulti nei territori infettati).

Nel nostro paese è anche stata individuata una nuova specie di nematode mermitide (Hexamermis popilliae) in grado di parassitizzare le larve di Popillia Japonica, lasciando aperta la possibilità di avere un naturale contenimento della popolazione o di una diversa strategia di difesa. Si spera che con il tempo, come è avvenuto in Giappone, si crei una resilienza naturale dell’ambiente in grado di equilibrare la presenza dell’insetto ma i tempi appaiono molto lunghi e il problema dilaga con impressionante rapidità.

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