Sulla base della mia credenza generale che una cosa è vera fondamentalmente quando è scritta, nel golf ho cercato per anni il libro perfetto, quello che finalmente mi avrebbe permesso di craccarne il codice in maniera definitiva. Le recensioni, il blog, il libro sono state tutte conseguenze naturali; ma prima, per me, per il mio proprio golf questo è stato fondamentale. Per anni ho scavato nelle librerie, librerie fisiche, librerie polverose di libri usati, librerie online, alla ricerca del libro, quell’unico libro che mi avrebbe finalmente spiegato come poter giocare a golf.
Credo di esserci andato vicino in alcuni casi. Con le Cinque lezioni, ovviamente, che però ho scoperto tardi perché non credevo, nella mia supponente ignoranza, che un libro di sessant’anni prima avrebbe potuto veramente dirmi qualcosa; ma prima in Pelz e certamente in decine, centinaia di altri volumi (o parti di essi) che in varie forme sono col tempo percolati dentro di me.
Ho avuto qualche risultato negli anni; minime soddisfazioni personali. Sono stato hcp 2.9 per un giorno, ad esempio. Il che mi porta direttamente ai pavesiani Mari del Sud:
Solo un sogno gli è rimasto nel sangue: ha incrociato una volta, da fuochista su un legno olandese da pesca, il cetaceo, e ha veduto volare i ramponi pesanti nel sole, ha veduto fuggire balene tra schiume di sangue e inseguirle e innalzarsi le code e lottare alla lancia.
(Ora, addirittura, col cambio di sistema di calcolo dell’handicap mi ritrovo 2,6.)
Per una settimana, tanti anni fa, ho giocato a fare il professionista.
Marco Mascardi un giorno mi scrisse:
Io non gioco più, ovviamente, ma davanti a un 4,1 ho ancora sufficienti energie per togliermi il cappello da solo.
Il mio handicap, insomma, è sempre stato pari alla stella da sceriffo che da bambino appuntavo summo cum gaudio sulla camicia a quadrettoni. Ma – è sempre Pavese a venire in soccorso:
Poi scordarono tutti e passò molto tempo.
E quel tempo mi ha fatto capire che quel libro non esiste. O più precisamente che aveva ragione il mio dolce mito, ovvero che il mio swing – come quello di chiunque – esiste già, cristallino e perfetto, solo che è nella polvere del campo pratica, da dove io soltanto posso estrarlo. Con l’aiuto di un maestro, ovvio; e di libri, naturalmente, e altre fonti; ma il libro perfetto non esiste. È stata una scoperta. E intanto ho passato 6mila ore e diciassette anni di vita a respirare golf. E sono ancora qui a coltivare la mia rosa.
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