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Come dice Massimo Scarpa, se un dilettante medio lo sfida sul driver perderà cento volte su cento, ma se lo sfida sul putt è probabile che ogni tanto riesca pure a vincere. Il putt, in effetti, non ha di per sé difficoltà apparenti, ma diviene di fatto intricato perché le considerazioni mentali (la pressione, le paure e così via) sono in primo piano.

Dunque è fondamentale che quando si arriva su un green si sia sicuri del proprio putt. E purtroppo non esistono scorciatoie; l’unica maniera per giungere a quella sensazione di sicurezza nelle proprie capacità è quella di praticarlo con costanza e varietà.

In questo articolo ci occupiamo della pratica dei putt lunghi. La pratica del putt può avere mille sfaccettature, ma fondamentalmente si riduce a due lunghezze: i putt corti (fino a tre metri circa) e i putt lunghi (da otto a dieci metri circa). Come si può notare, manca la pratica dei putt da cinque-sei metri, che è quella che si vede fare più spesso su qualunque putting green (tipicamente con tre palline) ma che, di fatto, è quella meno utile in assoluto: questo perché un putt da sei metri viene concluso nella stragrande maggioranza dei casi in due colpi, e la sua esecuzione non permette di imparare granché; mentre nel putt corto bisogna fare i conti con la pressione e in quello lungo occorre negoziare la distanza.

Il putt lungo è un colpo molto interessante perché, se praticato bene, di fatto contiene anche quello corto: posto che qualunque putt, salvo rari casi molto specifici (per esempio un putt in discesa da tre metri), va tirato per essere imbucato e non per avvicinarsi alla buca, è pensabile che nella maggioranza dei casi un putt lungo abbia come conseguenza un secondo putt, sperabilmente corto; e dunque l’esercizio contiene in sé sia l’allenamento alla distanza sia la pressione del dover imbucare il secondo putt, e nello stesso tempo simula una situazione reale piuttosto comune.

Importante: nei putt lunghi la forza è, in maniera indiscutibile, preponderante rispetto alla direzione. Questo perché per quanto l’allineamento possa essere sbagliato il corpo trova sempre la maniera di mirare verso l’obiettivo, mentre è molto più frequente il caso di putt lunghi lasciati corti di metri oppure che tendono a non fermarsi più. In genere riusciamo a regolare in modo istintivo la direzione, che è dunque di rado un problema; mentre dobbiamo preoccuparci molto di più della forza da applicare al putt, che è poi la vera arte da apprendere nei putt sulla lunga distanza.

Un buon esercizio è quello di praticare usando obiettivi differenti tra di loro. Ciò presume che il putting green sia deserto o quasi, per evitare di infastidire altri golfisti. Si può procedere scegliendo più buche a distanze e con pendenze differenti tra di loro, e poi seguire una sequenza predeterminata. Ad esempio usare quattro buche e otto palle: partendo da uno stesso punto si tira prima a una distanza media, poi a una più lunga, poi a una molto più corta, poi a una lunghissima, avendo cura del fatto che almeno una buca sia in salita e almeno una in discesa, e si ripete il percorso due volte. L’obiettivo è di non lasciarsi nessun putt complicato – diciamo superiore al mezzo metro. E tra l’altro, come si diceva prima, questo esercizio può combinare la pratica nei putt lunghi con quella nei putt corti, perché bisognerà poi finire quei putt che non sono dati.

Un altro esercizio efficace consiste nel praticare alternativamente in salita e in discesa ma lungo lo stesso percorso. Questo serve tantissimo a sviluppare il feeling per la corretta distanza, che come abbiamo visto è il punto focale nei putt lunghi.

E finiamo con due esercizi più strutturati.

1. Pace putting. Scegliamo una zona piatta del putting green e mettiamo dei tee a 4, 5, 6, 7, 8 e 9 metri dalla buca. Delimitiamo poi una zona-obiettivo intorno alla buca, sistemando un bastone perpendicolare alla linea di tiro 60 centimetri dopo la buca e due bastoni paralleli alla linea di tiro, che partendo dalle due estremità del primo bastone arrivino fino a 30 centimetri prima della buca.


Ora tiriamo tre putt da ciascuno dei quattro tee, segnando tre punti se imbuchiamo, due punti se la palla si ferma nella zona delimitata dai bastoni ma oltre la buca, un punto se si ferma nella stessa zona ma prima della buca e zero punti negli altri casi (se tocca i bastoni oppure si ferma prima dei 30 centimetri prima della buca). Ripetiamo l’esercizio non più di quattro volte per sessione e non più di una volta la settimana (perché l’allenamento sul putt è molto faticoso da un punto di vista mentale), segnandoci il punteggio che sarà poi l’obiettivo da raggiungere la volta successiva.

2. I marchini. Si utilizzano dei marchini per disegnare un diametro di 30 centimetri intorno ad una buca, e poi si mettono dei tee a distanze specifiche lungo la stessa direttrice, da 1,5 a 12 metri ogni metro e mezzo.

Si inizia dal primo tee e poi si prosegue fino all’ultimo (l’ottavo): l’obiettivo è vedere fino a dove si arriva passando dal primo ai successivi senza sbagliare, ovvero facendo in modo che la palla si fermi entro il cerchio disegnato. Anche qui valgono le considerazioni espresse sopra: è bene ripetere l’esercizio alcune volte durante una seduta e poi in sedute successive.

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