Il Circolo Golf Sanremo ha ospitato l’Open d’Italia ben 5 volte negli anni ’30 e ’40: 1934-1935-1937-1947-1948
C’è una terra dove durante tutto l’anno piove meno che altrove, e specie in inverno. Il clima normale è dolce. Poco vento. Brezze leggere e tiepide muovono l’aria, che è sempre pura. La zona è compresa fra un incerto punto dalle parti di Capo Mele (Cervo, in Italia) e Saint Tropez in Francia. Nella parte francese, si chiama Costa Azzurra, in quella italiana Riviera dei Fiori. Zone note, dalla storia ricca di aneddoti e di personaggi famosi.
Cominciamo dalle nostre parti. Sanremo, ma anche Bordighera che fu preferita dalla Regina Margherita, Ospedaletti, e tutta la riviera italiana negli Anni Venti vivevano gli ultimi vent’anni di bell’epoque. Ad Arma di Taggia c’era persino un piccolo campo di Golf. Poi sarebbe scoppiata la seconda Guerra mondiale. Sanremo aveva grandi alberghi, sontuosi e mantenuti con la larghezza che imponeva una clientela in grado di pagarsi le esigenze.
Sanremo, negli Anni Venti, cercava di rivaleggiare con Montecarlo, Cannes e Antibes. Era un duro confronto. Pirandello dava le sue commedie, talvolta in prima mondiale, al Casinò e il Casinò organizzava spettacoli d’opera e di prosa con i massimi artisti, e ai suoi clienti migliori offriva, in edizione fuori commercio della Voce del Padrone, le finissime esecuzioni del Quartetto che aveva riunito con una cura estrema. Il celeberrimo violinista Aldo Ferraresi, poi primo violino a Bayreuth, insieme al maestro Nielli che poi guidò per anni le orchestre della Rai, il violoncellista Rampi e il violista Scarpa davano vita ad esecuzioni tali da richiamare ogni volta un pubblico estremamente raffinato.
Dagli Anni Trenta, invece, Sanremo ha coltivato un suo solo gioiello. Che è il campo di Golf. Diciotto buche ricavate sui fianchi d’una collina ricca d’ulivi e di mimose. Tutto cominciò alle ore 14 del martedì 1° dicembre 1931. Quando, davanti ad un pubblico più curioso che competente, due gentiluomini inglesi e i due migliori maestri di Golf dell’epoca, Prette e Pasquali, diedero una dimostrazione del gioco. I due inglesi erano Peter Gannon e il maggiore Blanford, che furono tra i primi a preparare campi di Golf in Italia. Prette era un eccezionale maestro e Pasquali, che aveva vissuto gran parte della vita in Francia, era diventato notissimo in Italia per aver vinto il primo Open d’Italia nel 1925.
Oggi i tecnici delle pubbliche relazioni parlerebbero di “evento”. Della gente accorsa in quel giorno sul campo, pochi tornarono sul luogo. Forse. In compenso, prima che fosse completato il clubhouse e con il campo ancora in rodaggio, dal primo dicembre 1931 (giorno della famosa partita-esibizione) al 20 febbraio 1932 (giorno della inaugurazione vera e propria) furono giocate già 1295 partite, da entusiasti felici di trovare un campo così gradevole: 142 italiani, 73 inglesi, 11 americani, 18 tedeschi, 2 svedesi, 3 olandesi, 3 spagnoli, 2 francesi e 2 svizzeri. Di media, ognuno giocò più o meno 5 partite. Il greenfee era di 20 lire. L’incasso per il solo greenfee toccò le 130mila lire. Il valore d’un bel palazzo dell’epoca, a Milano.
Non fu nemmeno una sorpresa. L’Enit del tempo, con una chiarezza che lascia dietro di se più rimpianto che stupore, aveva pubblicato un volumetto, nel 1926, che aveva per titolo una grande verità: “Il Golf attira il turista”. Verità a lungo disattesa. Nel volumetto si diceva a chiare lettere che “molti turisti anglosassoni evitano di venire in Italia perché sanno di non trovare un buon campo di Golf: preferiscono altri Paesi che, da tempo, hanno provveduto a preparare molti buoni campi”.
Sanremo, quindi con un gesto di autentica lungimiranza non solo creò il suo campo, ma lo riportò a nuova vita nel 1947 una prima volta, subito dopo la guerra che l’aveva ridotto male. Nel 1965 i lavori dell’ Autostrada dei Fiori mutilarono il percorso, che si sarebbe dovuto ridurre a sole 9 buche. Fu un periodo molto combattuto. Il presidente del Circolo, il medico Cesare Aluffi, sedeva anche in Consiglio Comunale. Dopo due anni il Comune decise di rimettere il campo in efficienza. Per ottenere l’ultimo decisivo finanziamento comunale, che non poteva essere stabilito per sole ragioni burocratiche, i soci del Circolo si unirono in Associazione Sportiva, ottennero 300 milioni e finalmente il 31 dicembre 1972, dopo lavori a dir poco giganteschi, il campo fu riaperto nella sua forma attuale: 18 buche, par 69, metri 5203.
Il campo è certamente bello. Ci si può far prendere da entusiasmi forse esagerati, come accade a me socio del Circolo, ma non è nemmeno il caso di mostrare la maniera altera e sprezzante di alcuni giocatori dilettanti che troverebbero il campo troppo facile. La realtà è che il campo è insidioso. Punisce i troppo arditi, cioè gli arditi oltre misura, quando si affidano in modo imprudente alla loro abilità presunta. A destarli dal sogno basta già la seconda buca, un par tre che fa scherzi tremendi. Qui davvero chi troppo vuole, nulla ottiene: su questa stretta e lunga buca, la prima parola inglese che imparavano i caddies era “Out!”. Questo par tre, invece, premia quelli capaci di dosare il colpo alle loro reali possibilità. Un dritto legnetto in centro fairway, un pitch in asta e i putts che ci vogliono. A qualcuno ne basta uno. Ho visto imbucare anche il pitch…
Non mancano le buche di potenza come la 6, la otto, e l’alta 15 con il green così per aria da arrivarci sempre col fiatone. Ma, in realtà, tutte le buche, giocate sotto pressione, diventano dei problemi. E qui sta il vero divertimento: il percorso è quello che è, ognuno lo vede a modo suo e a sua misura, ma gioca meglio chi lo fa con animo leggero. Tra amici, per divertirsi e divertirli. Per i professionisti è diverso: va, cioè, come sempre. C’è sempre il putt che sborda e quello che entra dalla porta di dietro. Il campo, cioè, non regala nulla: certo, visto dalla terrazza del Circolo, sembra quasi dominabile. Poi si mette la palla sul tee. E l’idea cambia. Il gioco-chiave è, cioè, il gioco attento, misurato. Tutto qui. Bisogna dire che i bei giocatori non sono mancati mai, da queste parti. Negli Anni Trenta arrivava Leopoldo del Belgio con la principessa De Rethy, vera campionessa, Douglas Fairbanks con Mary Pickford, Bernardo d’Olanda e tutta una serie di giocatori milanesi e torinesi che davano lustro alle competizioni annuali, entrate ormai nella tradizione. Qui giocarono anche Ballesteros, Langer e i migliori della loro generazione.
Il bel gioco è una caratteristica locale. Tutto cominciò con il maestro Prette, dagli inizi. Seguirono gli allievi. Primo fra tutti Aldo Casera, uno dei migliori golfisti italiani di sempre, campione di fama europea; una pattuglia di ottimi maestri diede fama a Sanremo, non solo, ma fornì agli ospiti, che disponevano del necessario tempo libero, la giustificazione per lunghi soggiorni invernali.
Particolare della sua importanza: sullo stemma del Club degli Ulivi troneggia la corona ducale, quella di Adalberto di Savoia, Duca di Bergamo, che aveva accettato graziosamente la nomina a Presidente Onorario.
Marco Mascardi (fonte sito web del Circolo)
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