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Una pallina può cambiare il destino

Irriverente e divertentissimo John Niven in una storia di crimini e golf

Si può ridere di qualcuno che vorrebbe disperatamente abbassare il proprio handicap, ma viene colto dalla peggiore patologia che possa colpire un golfista? Si può ridere di qualcuno sistematicamente tradito e pubblicamente umiliato dalla moglie? E se questo qualcuno (sempre la stessa persona), avesse anche un fratello disoccupato, uscito di galera che lo trascina nei guai coinvolgendolo in un omicidio nel tentativo di truffare il peggiore gangster di Scozia? Sì. Si può ridere e si ride alla grande! “The Amateurs” di John Niven travolge il lettore con un’infilata di personaggi e situazioni che sembrano usciti da un film Guy Ritchie o dei fratelli Coen. È un giallo, è una storia comica, è un’allegoria drammatica e farsesca. Uno di quei libri che non riesci a mettere giù, che ti cattura dalla prima pagina e in cui ti accorgi che stai ridendo da solo come non facevi da tempo. Ma non basta. Perché il grande protagonista del libro è il golf. Il golf è l’origine, la trama, l’epilogo di tutto. Gary Irvine, battezzato Gary in onore di Gary Player, soffre di shank. Ogni suo tiro è un maledetto socket – il suo swing era così terribile che i golfisti del suo club evitavano di guardarlo per non restarne contaminati – Pauline – la moglie – trascorre lunghi pomeriggi in un hotel con un industriale di tappeti mentre lui la crede a organizzare feste per bambini. Una gang di trafficanti capeggiata da un mostro di crudeltà inaudita sta addosso a suo fratello. Questi i punti cardinali di una storia che si dipana con continue sorprese e colpi di scena eclatanti in cui ad un certo punto appare l’ospite inatteso a scompaginare ogni prevedibile sviluppo: una pallina da golf. Una pallina sparata da un driver a 186 miglia all’ora colpisce Gary, il protagonista, alla testa. Gary finisce all’ospedale. Guarisce, con un non trascurabile effetto collaterale, e da quel giorno diventa un’altra persona: il suo swing rasenta la perfezione, i suoi tiri diventano lunghi e precisi e di più non posso rivelare (N.B. Ogni informazione contenuta in questa recensione non costituisce uno spoiler, visto che è già contenuta sulla quarta di copertina del libro).
Esiste la Scozia da cartolina, fatta di brughiere, di montagne, di scogliere, di links e di vento. La Scozia degli uffici del turismo: un po’ stucchevole e ripetitiva che fa il verso a se stessa con echi di cornamuse e clubhouse di tartan e legno antico. E ce n’è un’altra che convive con la prima in una dimensione parallela fatta di centri commerciali, quartieri degradati, case prefabbricate, disoccupati, piccoli trafficanti. È qui, nei campi da golf pubblici e nei pub poco raccomandabili che John Niven fa iniziare la sua storia, ad Ardigirvan, paesello immaginario a due passi Glasgow – stessa location di altri suoi romanzi – per arrivare fino agli Open. E nel romanzo fanno una breve surreale apparizione anche Ben Hogan e Bobby Jones.
La cosa sorprendente è che questo libro, questo libro magnificamente scritto, sia l’unico tra tutti i romanzi di John Niven a non essere mai stato tradotto e pubblicato in italiano. È ridicolo. Se pensiamo che ogni altro suo libro, da “A volte ritorno” a “Maschio, bianco, etero”, “Le solite sospette” o “La lista degli stronzi” hanno scalato le classifiche di vendita anche in Italia e da due dei suoi romanzi sono stati tratti film di successo. L’assenza di questo libro sugli scaffali delle librerie italiane è forse il segno della scarsa considerazione di cui gode il popolo del golf nel panorama economico editoriale nel nostro Paese. Peccato.

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